Cos’è l’impianto embrionale?
L’impianto è quel processo attraverso cui l’embrione, da poco formatosi e quindi allo stadio di blastocisti, raggiunge l’utero e vi aderisce, iniziando la gestazione vera e propria. Solitamente l’impianto può suddividersi in tre stadi differenti:
- Apposizione;
- Adesione;
- Invasione.
Durante la fase di apposizione, le cellule della blastocisti prendono contatto con l’epitelio endometriale; successivamente, con l’adesione, si aggancia agli strati più esterni dell’endometrio per poi arrivare con l’invasione ad occuparlo completamente.
Quando la donna viene sottoposta a tecniche di fecondazione assistita, si può poi verificare il corretto impianto tramite l’esecuzione di un’ecografia che metterà in luce la formazione del sacco gestazionale.
Quando si parla di fallimento dell’impianto embrionale?
Al giorno d’oggi, la comunità scientifica non ha definito in maniera univoca il fallimento dell’impianto ricorrente. Viene identificato piuttosto come una condizione derivante dal fallimento di una serie di fecondazioni di vitro (FIVET) oltre le quali la gravidanza si sarebbe già dovuta verificare. A causa però dell’enorme eterogeneità dei centri che si occupano e offrono queste tipologie di riproduzione, non è stata raggiunta una definizione che mettesse d’accordo tutti.
Nonostante questo, la RIF viene comunemente descritta come il mancato raggiungimento di un risultato positivo dopo il transfer di almeno 3 blastocisti di buona qualità in donne fino a 37 anni di età o 3 blastocisti euploidi (cioè con un multiplo di un corredo aploide, cioè 23 cromosomi nell’uomo) in donne sopra i 37 anni.
Quali sono le cause del fallimento dell’impianto?
Quando studiamo il fallimento dell’impianto si prendono in considerazione tre principali gruppi di responsabili:
- Cause uterine;
- Cause embrionali;
- Cause sistemiche.
Come già visto, l’utero riveste un ruolo centrale nel corretto impianto embrionale, in quanto deve possedere un epitelio adatto e ricettivo affinché il tutto avvenga e prosegua nel modo corretto. Alcune sue anomalie strutturali e funzionali possono alterare l’impianto, come per esempio:
- Malformazioni anatomiche come l’utero setto o a forma di T;
- Aderenze, polipi endometriali, fibromi;
- Presenza di uno strato endometriale sottile;
- Idrosalpinge;
- Adenomiosi;
- Endometrite cronica e alterazione del normale microbioma endometriale;
- Aumento della contrazione uterina.
All’interno di questo complesso quadro, si inserisce anche l’embrione stesso: sappiamo infatti che alterazioni del normale corredo genetico possono modificare in senso negativo l’impianto. Gli embrioni normali, indipendentemente dall’età materna, hanno una percentuale di fallimento nettamente inferiore.
Oltre ai cromosomi, altre mutazioni genetiche possono impattare negativamente, anche se questo campo è ancora oggi oggetto di studio e approfondimento.
Infine, la qualità embrionale è fondamentale e questo rende ragione dell’accurata selezione che si fa durante le diverse fasi delle procedure medicalmente assistite. Un embrione classificato come di buona qualità ha un maggiore potenziale di impianto positivo.
In ultima analisi, vengono studiate le possibili cause sistemiche: si parla in questo caso di tutte quelle patologie che possono, anche solo indirettamente, inficiare il corretto svolgimento della fase di impianto come le patologie trombofiliche (come la sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi associata ad altissimi tassi di aborti spontanei ripetuti), alterazioni del sistema immunitario e lo stile di vita come l’abitudine al fumo o al consumo eccessivo di alcolici.
Esistono soluzioni di fronte ad un fallimento di impianto?
Come visto poco prima, le possibili cause imputabili ad un fallimento di impianto sono molto numerose e spesso si intrecciano tra loro; quindi, trovare una soluzione a questa particolare entità diventa sempre più difficile.
Nonostante questo, però, dopo molti studi condotti su questo tema, sono state pubblicate una serie di raccomandazioni che occorre valutare quando ci si trova di fronte una paziente con questa condizione:
- Prima di tutto, si esegue uno screening genetico di preimpianto: sostanzialmente serve a trasferire solo gli embrioni cromosomicamente adeguati e nel minor tempo per conseguire la gestazione;
- Effettuare il trasferimento allo stadio di blastocisti: questa scelta sembra garantire una migliore selezione dell’embrione dando quindi maggiori probabilità di successo;
- Hatching assistito: questa è una tecnica utilizzata nel laboratorio di fecondazione in vitro che consiste nel praticare un piccolo foro nella membrana che circonda l’embrione, la zona pellucida (ZP) , con l’obiettivo di facilitarne l’eliminazione (un fatto che naturalmente è necessario che si verifichi) e quindi aiutarne l’impianto;
- Studio sul profilo ematologico: in particolare si pone attenzione ad una possibile predisposizione trombofilica;
- Studio delle cause immunologiche;
- Stimolazione ovarica: nei casi specifici di iper-riposta, è consigliato evitare il trasferimento immediato, prediligendo invece il congelamento per un ciclo successivo;
- Promozione alla salute: guidare la donna verso uno stile di vita sano è fondamentale, evitando quanto più possibili comportamenti che possano aumentare il rischio di fallimento;
- Esecuzione di isteroscopia: quando si sospettano difetti anatomici come l’utero setto o a T, sinechie o polipi, è consigliato eseguire questa tecnica che oltre ad essere diagnostica, può essere anche terapeutica, in quanto nella stessa sede è possibile trattare il difetto;
- Test di ricettività endometriale: si basa essenzialmente su un possibile difetto nella sincronizzazione endometrio-embrione e quindi nello spostamento della finestra di impianto;
- Nei casi estremi di assenza di embrioni euploidi o di blocco embrionale, l’unica soluzione oggi disponibile è la donazione di ovuli eterologhi.